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Ceccanesi (e non solo) nella Resistenza

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CECCANESI (E NON SOLO) NELLA RESISTENZA

Il 4 Ottobre 1943 a Ceccano si costituisce una banda partigiana. Così riporta il ”Diario di guerra” scritto dall’avvocato Giuseppe Ambrosi. Nasce sotto la guida di un Comitato di salute pubblica i cui membri sono:Lorenzo Angelini, Mario Reali, Nicola Moscardelli, Battista Romolo, Renato Pennino e lo stesso Ambrosi. Negli stessi giorni l’esercito alleato si trovava ancora sul fiume Volturno.Tutti I partecipanti alla banda  si raggruppano alla base del monte Siserno. Secondo le testimonianze di Valter Apruzzese e del Maestro Umberto Germani sono più di cento i giovani che in un primo momento mettono a repentaglio la loro vita, non solo perché decidono di combattere il nemico equipaggiati alla meno peggio, e con idee poco chiare in testa, ma anche perché disobbediscono al bando Graziani, il quale impone l'arruolamento obbligatorio nella Repubblica di Salò, pena la morte immediata. La banda pe-rò non ha vita facile; sin dal nascere, infatti, cominciano le prime rivalità fra Romolo Battista e l’avvocato Ambrosi  dovute ad incompatibilità di carattere e a problemi di leadership. Per questi motivi  immediatamente la banda  si divide  in due tronconi, per cui gli stessi accampamenti sono separati: la banda capeggiata da Battista è situata  sulla proprietà dei Ferdinandi  mentre  quella di Ambrosi è sul possedimento dei Fumanti.Dopo i primi giorni le entusiastiche e disinteressate adesioni di questi  giovani si scontrano con una drammatica realtà: la difficoltà di vettovagliamento  e di rifornimenti.Con il passare dei giorni la gran parte dei giovani rinuncia alla lotta; rimangono così trenta persone circa, ma non va trascurato  il fatto che pur sopravvivendo  con i buoni di prelevamento rilasciati a contadini e ad altri cittadini, il problema  dell'approvvigionamento  resterà un grosso  argomento anche di po-lemica  successiva.Con il senno del poi, mi sento di affermare che I patrioti di Ceccano hanno la caratteristica più di un’ avanguardia  isolata che di una punta avanzata di un vasto movimento insurrezionale. Non hanno a fianco, infatti, forze sociali  che li sostengono.Pochi sono i finanziatori ed i rifornitori  di derrate  alimentari.
Pur se divise e ridimensionate nella quantità, le bande operano attivamente  lungo i Monti Lepini per tutto il mese di ottobre e novembre, ottenendo  anche dei successi.  
Il 18 ottobre  a Giuliano di Roma viene occupata la Casa del Fascio, da dove si prelevano armi e munizioni,  distruggendo  poi la suppellettile interna. Inoltre, i partecipanti all'azione rie-scono ad entrare in un laboratorio militare tedesco e distribuiscono vestiti militari all'incredula popolazione.
Lo stesso  giorno,  in Villa Santo  Stefano,  il commissario prefettizio, Luigi Bonomo, quasi  a voler manifestare la sua simpatia verso la Resistenza,  consegna ai patrioti  cinquanta chilo-grammi  di farina e cinque litri di olio.
Nei giorni successivi, esattamente il 22 ottobre, una pattuglia si reca a Patrica per stabilire collegamenti con il tenente colonnello Erminio Bufalini, dello Stato maggiore del Governo Ba-doglio, per provare a coordinare le iniziative. Infatti a Patrica, pur non essendoci un gruppo partigiano nel vero senso della parola, c'è all'interno del paese, una trama cospirativa che fa capo oltre che al citato Bufalini anche al colonnello Musumeci. Quest’ultimi, con motivazioni pretestuose, però non si rendono disponibili.
Nello stesso giorno i partigiani transitando per la zona Tomacella, in territorio di Patrica e a ridosso della diga sul fiume Sacco, recuperano due casse di bombe a mano e pacchi di caricatori. Di ritorno da Supino catturano due tedeschi che consegnano ai carabinieri di Patrica, successivamente fatti liberare dal colonnello Musumeci.
Secondo una testimonianza di Romolo Battista riportata anche dal Diario di guerra, a Lagoscillo, in territorio di Patrica, la stessa pattuglia, affronta tre tedeschi che stanno cercando di violentare alcune ragazze . Due tedeschi vengono mitragliati da Battista e il terzo, ferito gravemente da alcune bombe a mano lanciate da Moscardelli, viene finito con un colpo di moschetto sparato da Agostino Piroli. Sempre durante tale spedizione i partigiani ceccanesi di ritorno da questa missione , passando per la strada Marittima, in prossimità del bivio di Ceccano, sparano contro due tedeschi in motocicletta; uno dei due, in seguito alle gravi ferite riportate, morirà.
La fortuna aiuta gli audaci, tanto che un tale Archilletti mette a disposizione il suo carretto per trasportare tutto il materiale nel campo di Romolo Battista. Questa serie di atti galvanizza tutti i patrioti; il successo ottenuto dà più slancio e coraggio, sollecitando così altre operazioni. Viene fatto saltare, allora, il ponte sulla strada che conduce alla Badia dei Padri Passionisti per ritardare l'installazione di una batteria antiaerea che i tedeschi, successivamente, riusciranno a piazzare dentro il Convento  stesso.
Inoltre c'è un tentativo per liberare il padre di un partigiano, prigioniero dei tedeschi, dentro il saponificio Annunziata. L'azione nonostante il coraggio e la determinatezza, non si conclude felicemente, perché una sentinella tedesca rimasta ferita da Battista, riesce comunque a dare l'allarme .
Dal” Diario di guerra” sappiamo che Il 31 ottobre i partigiani Antonio Fratangeli, Giotto Carlini e Domenico Arduini “ fanno saltare e deragliare un treno carico di materiale bellico diretto in Germania”
A conferma di quanto i due gruppi operassero separatamente, c’è da rilevare che Ambrosi con una decina di uomini, agli inizi del mese di novembre, decide di andare in direzione delle forze alleate. Attraverso tappe forzate, rischi e inconvenienti vari, arriva fino al fiume Garigliano ma non è in condizione di superarlo. Dopo 4 mesi di inutili tentativi ritorna in provincia, sostando prima a Vallecorsa, poi a Villa Santo Stefano, quindi a Roccagorga. Nel momento in cui arrivano le truppe del Corpo di Spedizione Francese, Ambrosi si incontra con ufficiali della IV Divisione, ai quali segnala le posizioni tedesche. Dopo di ciò Ambrosi va a Napoli presso i comandi alleati per denunciare quelli che lui ritiene essere stati dei traditori .
Dal primo di novembre 1943 nelle territorio di Ceccano a contrastare i tedeschi rimane solo il gruppo capeggiato da Battista.
Padre Gioacchino Passionista nelle sua “ Badia nella tormenta” ha riportato che i partigiani rimasti a Ceccano, il pomeriggio di domenica 20 novembre, compiono un atto incredibile e sostanzialmente autolesionista. In perlustrazione nelle contrade Maiura e Cardegna incontrano due soldati tedeschi e fra questi un maresciallo. Li disarmano, li privano degli stivali e li inviano a piedi nudi presso il comando di appartenenza dislocato in località le Cocce, nella proprietà Mastrogiacomo. Ma commettono anche una bravata scrivendo un biglietto firmato “Fra Diavolo” in cui sfidano i tedeschi a battersi presso la Badia .
Secondo le testimonianze di Mario Piroli ed Ugo Tanzini, nei giorni precedenti i partigiani avevano raggiunto un accordo con padre Germano, guardiano del convento dei Padri Passionisti, il quale convinto da una certa passione patriottica si era reso disponibile a suonare da otto a dodici rintocchi di campane in caso di arrivo delle truppe tedesche. E quando un reparto di tedeschi alcuni giorni dopo arriverà per risolvere militarmente e definitivamente la questione aperta, i rintocchi di padre Germano serviranno a permettere la rapida fuga dei patrioti. Precedentemente lo stesso reparto, secondo Romolo Battista, di 200 soldati, aveva fatto un’incursione all’interno del convento dei Padri Passionisti perché, convinti dell’attendibilità del biglietto, erano sicuri di trovarvi i partigiani.  Padre Gioacchino Passionista scrive che l’irruzione germanica si svolge con una eccezionale meticolosità: vengono sfondate contemporaneamente prima tutte le porte di accesso e poi rovistate con molta durezza le celle. I soldati tedeschi, solo dopo tre ore di infruttuose ricerche, avvalendosi di colpi di mitra e di pistola sparati per intimidire i religiosi, decidono di allontanarsi. Prima però sottraggono al convento materiale vario e trascinano come ostaggi alcuni giovani ospiti del convento trovati nascosti nel granaio “Li avevano scambiati per partigiani travestiti, come per tale avevano preso e catturato il fratello ortolano- Fratello Antonino. che accudiva ai lavori dell’orto. Ci volle del bello e del buono a farli rilasciare” Il giorno dopo infatti, per interposizione di padre Lorenzo Volante vennero rilasciati
I partigiani si dileguano lungo il Passo della Palombara eludendo cosi la spedizione tede-sca, la stessa  per sette giorni li cercherà sul Siserno. Il rastrellamento viene portato avanti con violenza. Vengono, infatti, perquisite tutte le capanne circostanti ed alcune di queste vengono bruciate.
Con la fuga di tutti i partigiani la prima e immediata ritorsione dei tedeschi è quella di provare a prendere come ostaggio la moglie di Romolo Battista, Domenica Liburdi. I tedeschi attraverso un delatore ceccanese individuano l’abitazione dove vive, nelle vicinanze della Badia, entrano in casa, ma Domenica riesce a scappare da una finestra. La stessa racconta che dopo molte peripezie, nascosta dentro il carro funebre di Filippo Sodani arriverà alla stazione ferroviaria di Frosinone per raggiungere Roma.
Le azioni dei partigiani ceccanesi, per quanto limitate dal punto di vista strategico militare, costituiscono una spina nel fianco tedesco, un fastidio diventato preoccupante e al limite di ogni sopportazione. Alla reazione tedesca nella contrada Badia e nel territorio circostante, il già ridotto gruppo si sfalda ancora di più: per giorni i patrioti vagheranno sui Lepini e successivamente perderanno ogni collegamento. Qualcuno farà il pecoraio, qualche altro dopo un po' di tempo si ricongiungerà con i familiari mentre Battista con altri partigiani si unirà alla locale banda partigiana di Carpineto. Qui verrà a sapere che dopo il rastrellamento tedesco come rappresaglia  nei suoi confronti, sono stati catturati  il padre, la madre, la sorella, il cognato e la nipotina.
Inoltre saprà che è stata danneggiata  gravemente, perché  completamente  razziata dai tedeschi,  la fiorentissima  bottega di orologeria e oreficeria  di suo padre Bernardo.  La madre e la nipotina  verranno  rilasciate  dopo pochi giorni mentre  gli altri parenti rimarranno in carcere per tre mesi a Frosinone e per due mesi a Paliano.Un dato da considerare riguarda il fatto che i tedeschi pur avendo perso due uomini in combattimento non applichino alcuna rappresaglia verso la popolazione di Ceccano, così come accade a Roma ed in altre realtà laziali. La rappresaglia ( 10 italiani per un tedesco morto) verrà attuata dopo il combattimento di via Rasella.
Credo, inoltre  sia opportuno  fare gualche considerazione  sulle due formazioni partigiane ceccanesi.  Prima di tutto va riconosciuto  che tutta l'attività militare pesa sul gruppo  capeggiato da Battista. L'audacia di questa  formazione  fa in modo che alcuni uomini di Ambrosi (Moscardelli,  Pennino)  si accodino  di volta  in volta in ogni loro azione.
Nessuno dei partigiani ha legami con i partiti. Tutti accettano la guida del Governo Bado-glio, mentre Ambrosi ha stretti rapporti epistolari con un colonnello dei Bersaglieri, Gervasoni,  che si trova nascosto  in territorio  di Ceccano, presso l'abitazione di Aversa Fabrizia, in via Pisciarello, e dal quale sembra  accettare qualche consiglio.
Lo scontro polemico tra Ambrosi  e Battista fu un fatto negativo, perché  non permise  di u-nificare e dispiegare  tutte le forze a disposizione:  creò difficoltà anche nel dibattito politico del dopoguerra ed in particolare nel rapporto  tra comunisti  e socialisti. Ambrosi,infatti, aderì al partito socialista  mentre Battista approdò a quello comunista,  in seno  al quale, fino al 1953 fu un dirigente autorevole.
Bisogna riconoscere che le divisioni createsi  durante l'occupazione tedesca sono  la diretta conseguenza  della mancanza  di una direzione politica a Ceccano.  Da quando viene costituita la banda partigiana  fino all'ultima azione militare  tutto viene fatto all'insegna della più elementare spontaneità  ed improvvisazione.
Manca, insomma, la redazione  di un programma futuro e non sono chiari  gli obiettivi im-mediati sia politici che militari in grado di determinare  un coagulo di interessi  generali, tali da evitare I'insorgere  di antagonismi  personali e rivalità di gruppo.La mancanza di una autorità politica  non permette, infine, di  saldare  questa avanguardia  con tutto il paese, né di avere un legame con gli altri gruppi partigiani che operano nella zona.
Se questo  fosse avvenuto  le azioni sarebbero state senz'altro più  incisive e con molta probabilità  avrebbe potuto prendere corpo, così come raccontava Luigi De Santis, da parte di Andrea Aversa, Torti, Fischer e Bianchi,  di salvare i modernissimi macchinari  della B.P.D. di bosco Faito, scongiurando  così la rapina tedesca.
Quanti sanno che qui, a Ceccano da parte nazista ci sono stati crudeli assassini come  quelli dei  fratelli Giovanni Battista e Giacinto Capoccetta, Antonio Micheli, Giulio Polisena, Francesco e Vincenzo Zeppieri?
Certo conosciamo di Luigi Mastrogiacomo, trucidato il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine, ma pochi sanno perché venne ucciso.
Quanti ricordano che 11 militari ceccanesi sono morti nei campi di concentramento tedeschi per non aver voluto aderire alla Repubblica di Salò?
Chi ha mai raccontato che in molti paesi della Ciociaria come ad es. a Patrica,  Boville, Ripi, Alatri, Piglio Vallerotonda,  Viticuso, ci sono state  tante uccisioni di persone da ritenerle come vere stragi?.
Quanti conoscono la storia di Margherita De Carolis di Castro dei Vo-sci che nel gennaio del 1944 ha il coraggio di  ribellarsi, difendere le sue mucche, cacciare tedeschi e collaboratori fascisti ma dopo un po’ deve soccombere perché colpita dal  fuoco nazista?
Chi conosce che tre cittadini di Castro di Volsci, Giovanni Ceccarelli, Alfredo Andreozzi, Giovanni Ricci e due di Ceprano Costantino Valeri e Francesco Rossi furono imprigionati per quattro mesi, processati e fucilati a Paliano per essersi ribellati alla rapina nazista?
Amiche e amici,i non dobbiamo trascurare il fatto che i nazisti  rapinavano, sparavano, ferivano ed uccidevano ma  erano i fascisti locali in camicia nera che, compartecipando alle rapine, li accompagnavano nelle famiglie dove c’erano ancora farina e animali da razziare.
Abbiamo letto di storie affascinanti, suggestive ed eroiche, ma le abbiamo sentite lontane e sfocate mentre abbiamo tralasciato la conoscenza delle nostre storie, quelle a noi vicine che, seppur piccole, hanno espresso esempi di alto valore. Si è trattato di un errore e, comunque un limite, perché solo ricostruendo la grande storia attraverso le nostre piccole storie possiamo condividerla pienamente.
E per avvicinarci alle storie di casa nostra  oggi  ricordiamo Francesco Bruni, giovane di-ciannovenne ceccanese nato il 31 ottobre 1925 e morto l’8 maggio del 1944 in ospedale a Roma, fra atroci sofferenze.
Francesco Bruni proviene da un’ umile famiglia: figlio di Giuseppe, di professione calzolaio e di Regina. Trascorre la sua infanzia e prima giovinezza  a Ceccano in via san Pietro. Non segue i genitori quando questi, per motivi di lavoro, si trasferiscono a Roma, ma rimane  a Ceccano presso la nonna Elena Giudici e non sappiamo con esattezza quando si ricongiunge con i suoi genitori.
Elena Giudici, nel 1912, aveva costituito la Lega delle donne. Prima del fascismo apriva i cortei socialisti battendo il tamburo.
Dalle notizie lette nella teca sita nel Museo della Liberazione in via Tasso, terzo piano, cella n° 3, apprendiamo che il Bruni, di professione è tecnico radioamatore. Il 9 settembre 1943 viene rastrellato dai tedeschi e inviato a Vicenza. Liberato dai partigiani del luogo, partecipa ad azioni di disturbo nella zona di Arzignano. Ritorna a Roma e continua la lotta fra Roma e Frosinone, sostenuto dalla madre Regina. In seguito a delazione le SS lo ricercano per aver partecipato ad azioni di sabotaggio contro autocarri tedeschi in transito su via del Tritone, Nomentana, Regina Elena e Crispi.
Il 25 gennaio 1944, proprio in quest’ultima strada, il giovane viene ferito gravemente da colpi di pistola sparati da un ufficiale tedesco che lo aveva pedinato. Viene trasportato all’ospedale S. Giovanni e qui isolato, piantonato e  sottoposto a continui interrogatori da parte delle SS. Non rivelerà mai i nomi dei suoi compagni di lotta. Soffre atrocemente per le ferite subite e muore l’otto maggio dello stesso anno. Aveva solo 19 anni!
Sempre in via Tasso, accanto alla sua foto, sono esposte la sua sciarpa rossa, nella quale sono evidenti i fori di entrata dei proiettili e la camicia insanguinata.
Per evitare fraintendimenti  va precisato che Bruni non è stato mai imprigionato a via Tasso. Per tanti anni, anche dopo la fine della guerra, le attenzioni nei suoi confronti sono state inesistenti.
Solo occasionalmente, alcuni anni fa, ho trovato nell’Archivio Storico della città di Ceccano che il Consiglio Comunale, il 16 novembre 1953, delibera che via Principe Umberto venga sostituita da via Francesco Bruni. Il provvedimento però non può essere  esecutivo perché bisogna aspettare, così come prescrive la legge, la scadenza  dei dieci anni dalla morte.
Dopo questo atto, che non verrà mai eseguito, non si hanno altre tracce. L’attività partigiana di Francesco Bruni non può essere separata da quella della madre Regina. La documentazione che la riguarda è depositata presso il Museo della Liberazione, conservata nella busta 15, fascicolo 22, messoci a disposizione dalla dottoressa Alessia Glielmi. Da tale preziosa documentazione abbiamo appreso che Regina Bruni è stata comandante di squadra delle formazioni di Giustizia e Libertà, nella 1a zona. Il Generale comandate territoriale di Roma Frattini, il 31 luglio 1948, le assegna la Croce al merito per aver preso parte ad attività partigiana.
Nel 1954, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, le conferisce l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica. Nel 1958, un’altro Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, le assegna il titolo di Ufficiale al merito della Repubblica. Quando Regina (1901-1959) muore il 25 gennaio, il giornale La Giustizia, quotidiano del partito socialdemocratico, la ricorda con affetto e devoto riconoscimento, la indica come compagna, partigiana e socialista. Ne ricorda l’impegno nella formazione partigiana Giustizia e Libertà, assalendo le sedi fasciste per asportare armi, ricoverando nella sua abitazione famiglie di ebrei, ufficiali e cittadini ricercati e partecipando alla difesa di Roma il 9 settembre 1943 a Porta San Paolo.
Angelino Loffredi
Ceccano, 29 Aprile 2025

Intervento tenuto in occasione dell’incontro “ Ceccano, primo anno di pace. Il contributo della Resistenza” organizzato dalla Proloco con la Rete della Associazioni.





 
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